venerdì 10 agosto 2007

PROLOGO

Il buco fu riempito
quando
la responsabilità
attorno all’uomo
gravò sullo spazio vuoto.

Sostai a lungo nel tempo, tra le braccia calorose della mia stanza. Quasi priva di luce, rappresentava tutto il mio spazio. Il buio nugace mi contornava quando, per un solo attimo, mi assalì un’idea: non fui più in grado di liberarmene. Immaginai - anche se questa non è la parola più indicata - un uomo fuori dalla stanza che mi osservava. Più precisamente, non osservava me ma il luogo, lo spazio, in cui mi trovavo: ai suoi occhi appariva un buco. Sotto forma di immagine, l’idea, dopo essersi quasi calata dall’alto ed aver avvolto completamente i miei pensieri, trascinò con sé una serie di domande; tuttora non ne ho alcuna risposta. Anzi, oggi non ricordo nemmeno con assoluta chiarezza se le cose siano andate realmente in questo modo.
Al fine di ottenerne un’immagine più accurata, l’uomo si allontanò per prendere una scala: da lontano il suo corpo occupava la stessa dimensione del buco, sia in altezza sia in larghezza. Dopo aver accostato la scala ad un solido sostegno e dopo aver scalato complessivamente i pioli, l’uomo si trovava sollevato alla medesima altezza del buco; vidi il suo sguardo, ma non accadde nient’altro. L’uomo rimase lì, sulla soglia, a guardare. Ebbi la sensazione di un’invadenza, anche se questo suo sostare, né dentro né fuori, non rappresentava per me qualcosa di sgradevole.
L’uomo cominciò ad interrogarsi a voce alta sul perché di quel buco; subito, mi resi conto che le domande erano le stesse che, poco prima, avevano suscitato la mia attenzione: all’interno della stanza mi sentivo protetto. Non avvertivo nessun dovere di rispondere e nemmeno sapevo se l’uomo avrebbe potuto udire la mia voce.
Ad un tratto egli indicò precipitosamente tutto lo spazio vuoto intorno a me: gettò via la scala e si aggrappò con una mano al buco, mentre io dallo spavento mi schiacciai lungo i bordi della parete. L’uomo rimase a penzoloni sospeso in spazi immaginali; ma, per entrambi, il limite dell’incontro rimase invalicabile.
Un giorno di sole lui si accorgerà dell’ingombro provocato dal mio corpo all’interno del buco, ma rimarrà imperturbabile: oscillerà dentro e fuori dalla stanza in un eterno differenziarsi verso il luogo d’origine che, privo di tempo, rimase in immobile equilibrio.
L’uomo non si sovrappose mai interamente al mio io pensante, scrivente, parlante… anzi, solo ora, mi accorgo di esserne stato il prologo.

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