mercoledì 15 agosto 2007

Portrait

L'arte rende tollerabile la vista della vita ponendo su di essa il velo del pensiero non puro. Nietzsche, Friedrich Umano, troppo umano. L'arte rende tollerabile la vista della vita ponendo su di essa il velo del pensiero non puro. Nietzsche, Friedrich Umano, troppo umano. L'arte rende tollerabile la vista della vita ponendo su di essa il velo del pensiero non puro. Nietzsche, Friedrich Umano, troppo umano. L'arte rende tollerabile la vista della vita ponendo su di essa il velo del pensiero non puro. Nietzsche, Friedrich Umano, troppo umano.L'arte rende tollerabile la vista della vita ponendo su di essa il velo del pensiero non puro. Nietzsche, Friedrich Umano, troppo umano. L'arte rende tollerabile la vista della vita ponendo su di essa il velo del pensiero non puro. Nietzsche, Friedrich Umano, troppo umano. L'arte rende tollerabile la vista della vita ponendo su di essa il velo del pensiero non puro. Nietzsche, Friedrich Umano, troppo umano. L'arte rende tollerabile la vista della vita ponendo su di essa il velo del pensiero non puro. Nietzsche, Friedrich Umano, troppo umano.L'arte rende tollerabile la vista della vita ponendo su di essa il velo del pensiero non puro. Nietzsche, Friedrich Umano, troppo umano.

lunedì 13 agosto 2007

L'arte - Hegel

La forma di questo sapere è, in quanto immediata (il momento della finità dell'arte), da una parte un dirompersi in un'opera di esistenza esterna e comune, nel soggetto che produce l'opera e in quello che la contempla e l'adora; dall'altra parte, essa è l'intuizione concreta e la rappresentazione dello spirito assoluto in sé come dell'ideale; della forma concreta, nata dallo spirito soggettivo, nella quale l'immediatezza naturale è soltanto segno dell'idea, per la cui espressione è così trasfigurata mediante lo spirito formatore, che la forma non mostra altro in lei fuori dall'idea. Tale è la forma della bellezza. § 559 Lo spirito assoluto non può essere esplicato in tale individualità di figurazione. Lo spirito dell'arte bella è perciò un limitato spirito di popolo; la cui universalità, che è in sé, quando si procede all'ulteriore determinazione della sua ricchezza, si fraziona in un indeterminato politeismo.[...]
(Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio)

venerdì 10 agosto 2007

Renato Calligaro - Luca Taddio: "Il filosofo"

...e l’Epigrafe definì. il riflesso della Figura.

Le nuvole sullo sfondo apparvero e sollevarono tutta l’attenzione del Filosofo verso il cielo. Il Cerchio dell’Apparire chiuse il suo Sguardo dentro e fuori lo spazio Visibile. La Gravità pose l’Uomo al centro, ma egli, non dissimile dallo Sfondo, trattenne la sua attenzione in un punto, e vi pose mente. Il Corpo delimitò il Limite e partecipò del mondo, fissandone l’orizzonte. Abbracciando il libro della Scrittura, trovò il giusto Equilibrio tra le Cose. Vera fu la sua ombra mentre il resto fu colto in un’unica rappresentazione. Una vita scomparve, l’Idea fu tratta: ora sta a Voi raccoglierne l’Immagine. Le nuvole sollevarono l’attenzione del Filosofo verso il cielo nel mentre l’Artista, sorpreso, esclamò: “Questo è un Uomo”, laddove Dio ne perse l’Immagine.

FRAMMENTO



PROLOGO

Il buco fu riempito
quando
la responsabilità
attorno all’uomo
gravò sullo spazio vuoto.

Sostai a lungo nel tempo, tra le braccia calorose della mia stanza. Quasi priva di luce, rappresentava tutto il mio spazio. Il buio nugace mi contornava quando, per un solo attimo, mi assalì un’idea: non fui più in grado di liberarmene. Immaginai - anche se questa non è la parola più indicata - un uomo fuori dalla stanza che mi osservava. Più precisamente, non osservava me ma il luogo, lo spazio, in cui mi trovavo: ai suoi occhi appariva un buco. Sotto forma di immagine, l’idea, dopo essersi quasi calata dall’alto ed aver avvolto completamente i miei pensieri, trascinò con sé una serie di domande; tuttora non ne ho alcuna risposta. Anzi, oggi non ricordo nemmeno con assoluta chiarezza se le cose siano andate realmente in questo modo.
Al fine di ottenerne un’immagine più accurata, l’uomo si allontanò per prendere una scala: da lontano il suo corpo occupava la stessa dimensione del buco, sia in altezza sia in larghezza. Dopo aver accostato la scala ad un solido sostegno e dopo aver scalato complessivamente i pioli, l’uomo si trovava sollevato alla medesima altezza del buco; vidi il suo sguardo, ma non accadde nient’altro. L’uomo rimase lì, sulla soglia, a guardare. Ebbi la sensazione di un’invadenza, anche se questo suo sostare, né dentro né fuori, non rappresentava per me qualcosa di sgradevole.
L’uomo cominciò ad interrogarsi a voce alta sul perché di quel buco; subito, mi resi conto che le domande erano le stesse che, poco prima, avevano suscitato la mia attenzione: all’interno della stanza mi sentivo protetto. Non avvertivo nessun dovere di rispondere e nemmeno sapevo se l’uomo avrebbe potuto udire la mia voce.
Ad un tratto egli indicò precipitosamente tutto lo spazio vuoto intorno a me: gettò via la scala e si aggrappò con una mano al buco, mentre io dallo spavento mi schiacciai lungo i bordi della parete. L’uomo rimase a penzoloni sospeso in spazi immaginali; ma, per entrambi, il limite dell’incontro rimase invalicabile.
Un giorno di sole lui si accorgerà dell’ingombro provocato dal mio corpo all’interno del buco, ma rimarrà imperturbabile: oscillerà dentro e fuori dalla stanza in un eterno differenziarsi verso il luogo d’origine che, privo di tempo, rimase in immobile equilibrio.
L’uomo non si sovrappose mai interamente al mio io pensante, scrivente, parlante… anzi, solo ora, mi accorgo di esserne stato il prologo.

PREMESSA

Per vedere lì sopra
si sollevò sulle punte,
ma non c’era nulla.
Si riabbassò e
ritrovò tutto
come prima.

Ora il libro era terminato.
Un uomo stava scrivendo la premessa al suo libro quando, si accorse della mancanza di una pagina.
Una volta terminato, decise di portarlo dall’editore: uscì di casa custodendolo gelosamente tra le mani. Ora i fogli giacevano sulla strada, l’uomo era in terra: morto a pochi metri da casa. Circondato da un gruppo di persone che invano erano accorse in suo soccorso, nella confusione qualcuno gli sfilò il portafoglio. Solo un uomo si preoccupò di raccogliere i fogli dattiloscritti sparsi sul suolo. Riuscì a raccoglierli tutti tranne uno, che andò perduto. Per tutta la vita cercò di riordinare il libro secondo la giusta sequenza; l’opera fu resa difficile dall’assenza dei numeri a piè di pagina e dallo stile frammentario del libro stesso: assomigliava ad un diario, ad una sequenza di immagini raccolte come se dovessero testimoniare una vita. L’uomo era anziano quando, soddisfatto di come aveva disposto la sequenza delle pagine, iniziò a scrivere la premessa: descrivendo il modo in cui, per una vita intera, si prese Cura del testo trovato…

QUASI UN'INTRODUZIONE


Il dono…
il tempo oltre la linea.

Credevo di aver percorso tutta la strada, regolato a intervalli dal caso e dalla necessità. La vecchiaia m’imponeva uno sguardo rivolto verso il passato. Tutto ciò mi apparteneva come il presente.
Camminavo, un passo dopo l’altro, rinunciando, ma solo apparentemente, ad una direzione. Cercando di legare una qualche immagine ai miei pensieri, frugavo tra le cose con lo sguardo proteso: non trovando nulla. Vedevo unicamente quell’uomo: in piedi, immoto con lo sguardo obliquo, portare con la solenne presenza di un Ambasciatore, un messaggio. Il messaggio non poteva né essere letto, né comunicato, né rappresentato, era la pura testimonianza di un’immagine di qualcosa.
Come un’ombra, lungo tutto il tragitto, l’uomo accompagnò ogni mio movimento: la sola ed unica alternativa fu la saltuaria immobilità del mio corpo che ne interrompeva, per brevi istanti, l’imitazione. Era incapace di suggerirmi qualcosa di utile. Se ne stava là come sospeso a mezz’aria.
Pretesi da lui sempre qualcosa di diverso, ottenendone il silenzio. Mi donò il suo tempo ed io lo tenni per tutta la vita. Non potei mai indicarlo come il mio tempo; se non in prospettiva in quel punto, che all’infinito, ne segnava l’orizzonte. Raggiungerlo significava annullarne la differenza. Cercai di stare in equilibrio lungo quella linea, indisturbato.
L’immagine prospettica del corpo dell’uomo raddoppiava sempre il peso della mia temporalità, incurvandone la linea: e, appeso, dondolandomi, il tempo scorreva. L’uomo sorrideva, sembrava divertito dalla mia posizione. Ormai non c’era più tempo per altri tentativi d’equilibrio, mi figuravo di aver percorso tutta la strada…

LA MALATTIA

Le deformazioni
si aprirono agli opposti,
mentre…

L’uomo viveva in una stanza senza porte né finestre; al centro un raggio di luce penetrava dalla parete. Continuava ad osservarlo come se fosse una metafora del mondo. Decise di provare ad aggrapparsi al raggio, senza riuscirvi. Immaginava il sole brillare sopra ogni cosa, per tutti i suoi aspetti, senza averne conoscenza.
La mano di un altro uomo coprì il suo viso; il tutto fu osservato dall’occhio di un terzo uomo che ne imitava i movimenti. Sul fondo della stanza c’era un vecchio specchio impolverato, abbandonato al tempo. L’uomo si accorse che ogni parte del proprio corpo lo rimandava ad altro: ripetutamente ed incessantemente continuava la sua disgregazione. Smise di essere uomo, di apparire come tale. Il raggio di luce continuò a cadere nel medesimo punto, attendendo un occhio che potesse continuare ad osservarlo.

Figurandosi, l’uomo continuò a giocare con il raggio di luce.

LA PREGHIERA

L’uomo fu l’unico essere che
nel dolore pregò Dio…
Le mani coprirono il suo sguardo,
così la Verità gli rimase nascosta.

La mosca si appoggiò sul dorso della tartaruga, poi iniziò a gridare. Tutto il suo dolore apparve ignorato. In quel momento la bocca dell’uomo era spalancata ed egli avvertì, nello stupore, una spirituale vicinanza con i due esseri. Si raccolse silenzioso in una preghiera. Fu solo, dietro alle sue mani giunte, quando il dolore scomparve, e con esso la sua vita. La mosca volò via, la tartaruga avanzò di un passo mentre la natura, nell’imo immobile, non si sorprese di nulla.

A=A

Ogni punto
venne indicato
nella Verità
di per se stesso…

Uscendo da casa saltellai due volte su un piede, come un ragazzino; ma la vecchia immagine del mio viso non lasciò spazio a dubbi circa l’età. Né trovai soluzione per evitare lo stesso ostacolo di sempre.
Una figura alle mie spalle sembrava custodire tutto ciò che non potevo vedere. Il suo lento movimento aggirava il mio corpo, contribuendo a rallentarne, giorno dopo giorno, le capacità motorie; stava lì, paziente, in attesa. Sembrava quasi cospirare alle mie spalle ma, quando ci ritrovavamo, tutto era come doveva essere. Il più piccolo dettaglio permase identico, immobile. L’ombra sorrise allungandosi, forse nel desiderio di allontanarsi per un istante; poi, ancorata ai miei piedi, decise di capovolgere lo spazio in un doppio circolo, fino a farmi essere parte complementare di sé. Un tutt’uno sempre doppio e, progressivamente, nell’apparire, sempre uno. L’unità dell’ombra con sé non annullò il mio corpo ma lo comprese.
Eternamente identica e silenziosa la luce dell’apparire giacque accanto all’ombra.

IL CERCHIO

Fu sempre consapevole
della sua libertà.
La sua vita ne fu la più alta
testimonianza…

Ogni giorno faceva lo stesso percorso, metodicamente. Alla stessa ora si allontanava da casa incamminandosi lungo il sentiero; al suo fianco c’era un muro in pietra poco più alto di lui. Lungo tutto il tragitto manteneva qualche metro di distanza dal muro alla sua sinistra. Dopo alcune ore tornava felice a casa, si sentiva libero e sollevato da ogni pensiero. Durante il percorso, ogni volta in un diverso punto, si soffermava ad osservare il panorama. Pensava a quanti prima di lui, secondo una diversa prospettiva, avevano visto le medesime cose. Ogni dettaglio era prezioso. Il tempo, la luce e le stagioni variavano di volta in volta il paesaggio. Era consapevole di non aver mai visto in più di un’occasione la stessa cosa. Conosceva tutto il percorso a memoria. Non condivise con nessuno le sue passeggiate. Niente di ciò che ammirava nell’apparire delle cose era vissuto come proprio, tutto era lasciato per com’è, lì davanti al suo sguardo. Neppure una volta si meravigliò della presenza di quel muro, né si chiese cosa ci fosse al di là. Quando morì disse, a voce alta, alcune parole, forse le strofe di una poesia…

L'IMMAGINE NEGATA

Della Verità del Tutto
non esiste un’Immagine:
né del suo Inizio, né
del suo ultimo Istante…

L'IMMAGINE

Il profilo della Cosa…
Era tutto ciò che possedeva.

L’immagine di quella persona si allontanò fino a scomparire in un punto. Qualcuno continuò a ricordarsene. Ora è sotto un’altra forma, memoria. Il cielo, nell’imperturbabile equilibrio, prese posizione sull’immagine dell’albero che, attraverso la sua verticalità, rappresentò lo sfondo. Il cerchio lentamente continuò a ruotare, immobile ed eterno, toccando ad ogni istante, per infinite volte, un solo punto dello spazio adiacente. Sbatté le ali, alzò un dito e chiuse la porta. L’immagine dell’identità di ogni istante si fronteggiò senza rumore con solitudine ed Armonia. La morte era seduta sull’albero quando il cielo rimase solo, senza sfondo. L’Immagine fu perduta in un punto invisibile, il pittore coprì quello spazio dipingendo sulla tela un immenso sasso. Sospeso nel cielo galleggiava, taciturno.

UN SOGNO

Fu il silenzio che
svegliandomi
divenne il peggior rumore.

Un uomo iniziò a contare: “uno, due, tre…”.
“Un, deux, trois…”. Un altro uomo iniziò a contare.
Contemporaneamente, ancora un altro uomo iniziò a contare: “ichi, ni, san…”. Il rumore dei numeri diventò assordante: tutti gli uomini, nello stesso tempo, in luoghi diversi, iniziarono a contare.
All’improvviso uno smise. Si trovava in una stanza completamente buia con al centro, sospesa nell’aria, una piccola sfera di luce che, progressivamente, si stava espandendo.
Quando il tempo e lo spazio smisero di essere… Tutto era luminoso, nell’immobilità ogni numero, grande o piccolo, era rappresentato da un suono costante. Quando il suono smise, mi svegliai. Tutto era buio e tutto rimase nel buio.

IL LIMITE

L’uomo danzava
nel cielo Aperto
tra le nuvole
e raggi di sole…

Muoveva il dito della mano a ritmo di musica, poi iniziò a muovere la testa e tutto il corpo ne rimase coinvolto. L’uomo danzava spiccando un balzo dopo l’altro in piena armonia con lo spazio aperto circostante. In prospettiva, sullo sfondo, un altro uomo ne osservava i movimenti della danza, senza scorgerne la musica, ma riuscendo comunque ad immaginarla. L’uomo sullo sfondo era in totale immobilità, possedeva scarpe troppo pesanti, maglie troppo larghe e sul capo un immenso cappello; tutto era fuori misura affinché il suo corpo potesse essere mosso dalla danza. L’immobilità è il contrario della vita. La statua, ad esempio, è l’immagine dell’uomo privato della vita; eppure questo caso faceva eccezione. Non era sufficiente l’immagine della sua fantasia a farlo muovere, il peso lo legava alla terra mantenendone la vitalità essenziale.
All’improvviso sentì un forte colpo sulla testa. Qualcuno era atterrato sul suo immenso cappello nero, mandandolo in frantumi come se fosse stato di vetro. Guardò in alto, vide il cielo nella sua altezza e, tra le nuvole, l’uomo. Rimase ad osservare quello spettacolo che per la prima volta ammirava in tutta meraviglia; passata la fase dello stupore abbassò il capo, le ginocchia cominciarono a flettersi e la schiena ad incurvarsi. L’immenso spazio che nella verità gli si era aperto lo stava comprimendo al suolo, senza possibilità di rimedio. Il suo corpo privo di vita giace ora in terra tra i resti del cappello e di qualche fugace ombra che il sole irrimediabilmente continuò a produrre dall’alto.

IMPERFEZIONI

L’immagine scomparve
quando l’uomo bussò alla porta.

Le mura del bagno erano tra loro così vicine da contenere a malapena il corpo della ragazza. Con indescrivibile grazia, lei amava starsene seduta sulla tazza del gabinetto in estatica solitudine. Pensava e sognava con leggerezza una moltitudine di cose, in un armonioso silenzio… La porta chiusa davanti a lei delimitava l’esterno confinandolo lontano. Definiva così il proprio mondo: l’intima emotività in uno spazio preciso, completamente suo. Guardando la porta ritrovava il suo profilo tra la luce che, da dietro le spalle, proveniva dalla piccola finestra posta sul lato occidentale della casa.
La sua presenza rendeva tutto attorno a sé delicato. I suoi movimenti non erano, in nessun caso, bruschi o violenti. Perfino l’olezzo, la luce e la tenue penombra parevano rispettare l’intimità della ragazza. Si sentiva protetta, racchiusa tra le braccia di quel piccolo bagno.

L’amato ogni tanto bussava alla porta quando, preoccupato, era trascorso troppo tempo dall’ultimo sguardo. Un giorno la ragazza intravide il suo occhio nel buco della serratura…

UNO-MOLTEPLICE

IL DOLORE

Fu la prima volta
che la tartaruga sorrise
della stupidità dell’uomo…

La testa riposava tra le mani dell’uomo seduto accanto ad un tavolo sporco e appesantito da un mucchio di libri ammassati l’uno sull’altro. L’aspetto del tavolo era di un oggetto abbandonato alla polvere ed alla compagnia di qualche artropode. L’uomo sembrava gettato lì per caso, come un manichino appoggiato, poi dimenticato.
Fu il dolore alla testa a costringerlo in quella posizione, in quel luogo privo di luce. In alto, da una piccola finestra, la luce del giorno passava timidamente. Era il dolore l’unico padrone di quel luogo. L’uomo sembrava essere lì per interpretarlo, per conferirgli dimensione, volume, per incarnarlo.
Decise di uscire, di andarsene.
Ritrasse la testa facendola scendere nel petto, come se il suo corpo fosse il guscio di una tartaruga. Ma come poteva porsi al riparo dal proprio dolore, si chiese lentamente la morte per bocca della tartaruga?

HEGEL

IL DOLORE

LA CAVERNA